fbpx
Home In Italia e nel mondo Natalità e immigrazione

Natalità e immigrazione

by Carlo Gnetti
0 comment

 

Secondo le previsioni dell’Onu, la popolazione mondiale è destinata ad aumentare dagli attuali 7,7 miliardi a 9,7 miliardi nel 2050, prima di raggiungere un picco di quasi 11 miliardi entro la fine del secolo e poi stabilizzarsi. Metà dell’aumento della popolazione globale tra oggi e il 2050 sarà dovuta a soli nove paesi. In ordine decrescente: India, Nigeria, Pakistan, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Tanzania, Indonesia, Egitto e Usa. Nello stesso periodo la popolazione globale diventerà sempre più urbanizzata, mentre il numero dei bambini al di sotto dei 5 anni sarà superato dagli ultra 65enni. L’Europa a 28, che attualmente ha una popolazione di poco superiore a 500 milioni di persone, oscillerà tra i 460 e i 550 milioni a seconda dei flussi migratori e dei modelli di fertilità che si affermeranno in futuro (UN 75 – I grandi temi: Una demografia che cambia, https://unric.org/it/un-75-i-grandi-temi-una-demografia-che-cambia/).

Se invece si considera l’attuale tasso di fecondità totale, calcolato sulla media dei figli in età fertile (fra i 15 e i 49 anni), mentre l’Europa e l’America settentrionale raggiungono insieme una media di 1.6 figli per donna, l’India 2.81, la Cina 1.73, l’Africa ne conta in media 5.8, generalmente avuti in età più giovane rispetto alle donne occidentali. Il dato più alto riguarda il Niger con 7.19. Negli ultimi decenni il ritmo di crescita della popolazione nei paesi poveri è molto rallentato, ma è difficile aspettarsi una convergenza che porti il mondo intero ad avere “un’alta speranza di vita”, con una media di procreazione intorno ai due figli per donna e un conseguente decremento delle spinte migratorie. Se anche la fecondità dell’Africa subsahariana – attualmente sui 5.4 figli per donna – scendesse a 2.7 verso la metà di questo secolo, nel 2050 la popolazione di quella parte del globo raddoppierebbe rispetto ad oggi e si farebbe macroscopico il divario con il declino dell’Europa, che attualmente è ben sotto la soglia di rimpiazzo della popolazione.

In altre parole, se è vero che la natalità va scendendo ovunque, gli squilibri tra le diverse aree geografiche non sono mai stati così profondi. Bisognerebbe quindi intensificare il controllo delle nascite nei paesi poveri e incentivare la fecondità in quelli avanzati, la cui popolazione tende a diminuire e invecchiare in maniera preoccupante. Facile a dirsi, molto più difficile adottare misure efficaci.

In ogni caso questa disparità è la chiave di volta per comprendere molte delle dinamiche che stanno ridisegnando la geografia del mondo, inclusi fenomeni di livello globale come la spinta migratoria e l’impatto ambientale. Di certo si possono spiegare sotto questa luce le tensioni crescenti nei paesi nordafricani, il dinamismo di alcuni paesi ma anche l’impossibilità di trovare sbocchi lavorativi per intere masse giovanili (specie nei paesi dell’Africa subsahariana) e il crescente allarme ambientale in paesi come la Cina e l’India alle prese con nuove pressioni consumistiche. Da tenere presente che negli ultimi due decenni la percentuale di migranti internazionali ha riguardato circa il 3% della popolazione globale, ma il loro numero è aumentato di oltre la metà a partire dal 2000, a causa di conflitti prolungati, ed è destinato a crescere ulteriormente a causa del cambiamento climatico e del degrado ambientale. La stragrande maggioranza del flusso di rifugiati e migranti proviene da paesi del Sud del mondo.

Nei più importanti paesi europei già oggi i migranti rappresentano quote crescenti della popolazione attiva ed è difficile non riconoscere il loro contributo alla vita sociale ed economica. Il punto però, alla luce dell’enorme boom migratorio degli ultimi anni e delle tensioni sociali che ne conseguono, è se favorire o meno i flussi dai paesi comunitari ed extracomunitari. Qui entriamo in un terreno molto complesso e politicamente “sensibile”. Tuttavia due aspetti sono innegabili: 1) nei paesi più ricchi dell’Europa i flussi provenienti da paesi extraeuropei e dallo stesso Est europeo hanno finora compensato gli effetti dovuti all’innalzamento della scolarità e quindi al posticipo dell’età in cui i giovani entrano nel mercato del lavoro, che a loro volta hanno favorito l’indisponibilità delle nuove generazioni a svolgere certi lavori. Basti pensare al caso delle badanti, la cui presenza in Italia (da mezzo milione a ottocentomila secondo le varie stime, che faticano a includere l’enorme massa del lavoro nero) è diventata sempre più significativa; 2) l’immigrazione di manodopera qualificata è sempre più indispensabile per coprire i settori ad alta tecnologia, ma anche quella meno qualificata serve già oggi a coprire i vuoti determinati dal calo demografico e dal mutamento nel rapporto tra domanda e offerta di lavoro. Gli esempi più significativi sono gli stagionali in agricoltura nel meridione e le richieste pressanti di manodopera generica da parte degli imprenditori nelle industrie del nord.

Secondo i dati dell’Ue, tra il 2000 e il 2050 per effetto dell’evoluzione demografica la popolazione attiva (ovvero in età di lavoro) avrà un saldo negativo di ben 150 milioni di persone. In queste condizioni, senza un considerevole flusso migratorio, sarebbe impensabile fare funzionare alcuni settori del comparto manifatturiero (costruzioni ecc.), dell’agricoltura, della sanità e dei servizi sociali. Il tutto senza contare gli effetti sul gettito Irpef e altre imposte, di gran lunga superiori alla spesa pubblica per l’immigrazione (welfare, integrazione e contrasto all’immigrazione clandestina).

Infine, c’è un aspetto che va considerato in relazione alla composizione demografica della popolazione immigrata. In Italia il sistema previdenziale è basato sul principio per il quale la popolazione attiva mantiene quella inattiva. Risulta quindi evidente come la popolazione straniera, mediamente più giovane di quella italiana, garantisca la sostenibilità del nostro sistema pensionistico. E tuttavia è difficile pensare che i contributi versati dagli immigrati, che hanno avvantaggiato quasi esclusivamente i nostri pensionati, possano garantire anche a loro una vecchiaia serena, in Italia o nei loro paesi di provenienza se decidessero di tornare o vi fossero costretti. Sarebbe fondamentale considerare questi aspetti al di fuori delle posizioni politiche e senza pregiudiziali ideologiche.

Le tragedie avvenute nel Mediterraneo nei pressi delle coste italiane sembrano andare nella direzione di un’autentica presa di coscienza, anche da parte delle istituzioni europee, dell’ineludibilità del fenomeno migratorio e della necessità di gestirlo in maniera realistica, efficace, trasformandolo in un’opportunità di crescita. Di certo l’immigrazione non può essere affrontata solo in termini di sicurezza, concentrandosi sulle modalità per combattere la clandestinità e per arginare i flussi irregolari. Occorre invece uno sforzo propositivo per gestire il fenomeno in base alle esigenze del mercato del lavoro. E soprattutto per favorire l’integrazione degli immigrati in tutte le sfere della società, a cominciare dalla scuola.