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PNNR, 3^ puntata: risorse idriche

by Giulio Espero
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Prosegue il nostro excursus all’interno del PNRR – Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Il Recovery Plan italiano, predisposto dal governo Draghi per circa 220 miliardi di euro tra Recovery Fund e Fondo complementare, articolato in sei misure di investimento da destinare alla ripresa post epidemia.

Approfondiamo ancora la componente denominata M2C4 – Tutela del territorio e della risorsa idrica, con una dotazione complessiva di circa 15,06 miliardi di euro. Di questi, una quota non esigua (4,38 miliardi) è destinata al a “Garantire la gestione sostenibile delle risorse idriche lungo l’intero ciclo e il miglioramento della qualità ambientale delle acque interne e marittime”.

L’intervento si articola in quattro tipologie di investimento ed in due riforme:

  • Investimento 4.1: Investimenti in infrastrutture idriche primarie per la sicurezza dell’approvvigionamento idrico (2,00 mld);
  • Investimento 4.2: Riduzione delle perdite nelle reti di distribuzione dell’acqua, compresa la digitalizzazione e il monitoraggio delle reti (0,90 mld);
  • Investimento 4.3: Investimenti nella resilienza dell’agrosistema irriguo per una migliore gestione delle risorse idriche (0,88 mld);
  • Investimento 4.4: Investimenti in fognatura e depurazione (0,60 mld);
  • Riforma 4.1: Semplificazione normativa e rafforzamento della governance per la realizzazione degli investimenti nelle infrastrutture di approvvigionamento idrico;
  • Riforma 4.2: Misure per garantire la piena capacità gestionale per i servizi idrici integrati.

All’interno dell’obiettivo generale relativo alla salvaguardia ambientale e della biodiversità naturale, antropica e morfologica del sistema Italia, trova giustamente spazio anche la componente inerente agli investimenti che “…mirano a garantire la sicurezza, l’approvvigionamento e la gestione sostenibile delle risorse idriche lungo l’intero ciclo, andando ad agire attraverso una manutenzione straordinaria sugli invasi e completando i grandi schemi idrici ancora incompiuti, migliorando lo stato di qualità ecologica e chimica dell’acqua, la gestione a livello di bacino e l’allocazione efficiente della risorsa idrica tra i vari usi/settori (urbano, agricoltura, idroelettrico, industriale)…” Affiancando alla parte economica “… un’azione di riforma che rafforzi e affianchi la governance del servizio idrico integrato, affidando il servizio a gestori efficienti nelle aree del paese in cui questo non è ancora avvenuto e, ove necessario, affiancando gli enti interessati con adeguate capacità industriali per la messa a terra degli interventi programmati…”.

Nello specifico, con riferimento alla parte idrica (captazione, approvvigionamento, stoccaggio, invaso e, infine, distribuzione dell’acqua potabile e di quella irrigua), vengono appostate complessivamente (investimenti 4.1, 4.2 e 4.3) risorse per circa 3,8 Miliardi di euro, finalizzate a rendere più efficienti e resilienti le infrastrutture idriche primarie per usi civili, agricoli, industriali e ambientali, in modo da garantire la sicurezza dell’approvvigionamento idrico in tutti i settori e superare la “politica di emergenza”. Vengono menzionati ben 75 progetti, che andranno a coprire l’intero territorio nazionale con particolare riferimento ai “…grandi impianti incompiuti principalmente nel mezzogiorno”.

Parimenti si pone l’accento sulla necessità di investire nelle reti di distribuzione, mediamente obsolete e poco efficienti, con una dispersione idrica che viaggia tra il 40 e il 50%, per le quali sono necessari evidentemente sistemi moderni di controllo e monitoraggio, non solo dei nodi principali ma anche dei punti sensibili della rete, attraverso la misura e l’acquisizione di portate, pressioni di esercizio e parametri di qualità dell’acqua.

Discorso a parte meritano gli investimenti in fognatura e depurazione. Francamente ci sembrano pochini 600 milioni di euro (appena il 13,7 % dell’intera provvista finanziaria) per affrontare una problematica che affonda le sue radici in tempi lontani e che ad oggi ha generato un importante inquinamento delle acque marine, soprattutto nel Mezzogiorno, dove l’UE ha avviato nei confronti dell’Italia ben quattro procedure di infrazione. Parliamo di circa tre milioni e mezzo di italiani che vivono in zone non conformi ai sensi delle direttive europee e per i quali un sistema fognario e di collettamento è un sogno ormai trentennale.

Esprimiamo perplessità anche sulla prima parte delle riforme, quella relativa alla semplificazione normativa e rafforzamento della governance. Al di là delle solite formule di rito, la declaratoria enunciata non chiarisce per niente cosa e come si intende effettivamente riformare “…semplificando le procedure, sia per quello che riguarda la formazione e aggiornamento del Piano (Piano Nazionale per gli interventi nel settore idrico), sia per ciò che concerne la rendicontazione e monitoraggio degli investimenti finanziati…”

Per quanto riguarda la seconda riforma (misure per garantire la piena capacità gestionale per i servizi idrici integrati), il vulnus, ancora una volta, viene individuato nel Mezzogiorno dove sono presenti più di mille gestori a carattere locale. La soluzione prospettata prevede l’implementazione delle logiche industriali, di centralizzazione e accorpamento dei centri gestionali.

Non si parla assolutamente di tariffe, questione dolente e politicamente poco proficua, e si pongono sullo stesso piano i gestori pubblici e quelli privati, enfatizzando al contempo la politica di riduzione del divario esistente (water service divide) tra il Centro-Nord e il Mezzogiorno. Speriamo di non doverci difendere da colonizzazioni industriali mascherate.