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Premio Napoli. L’Archeologia di Enzo Moscato

by Piera De Prosperis
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Archeologia del sangue di Enzo Moscato (Edizioni Cronopio 2020) fa parte della terna di testi di narrativa che concorrono per il Premio Napoli 2021.

Dopo aver rievocato la sua prima infanzia in Gli anni piccoli, Moscato in questo lavoro si propone di affrontare in una autobiografia bislacca e parziale, gli anni dal 1948 al 1961 dando ragguagli, esemplificandoli, raffigurandoli, in simbolici quanto concisi, spero, nuclei narrativi.

Suddiviso in due parti: i vicoli e il tempo, il testo procede per episodi, tutti legati ad eventi, cose, sentimenti che partono dal passato e che vanno ricercati come reperti di una civiltà perduta, ma in cui comunque scorre il sangue vivo e vivace del grande artista che di quel passato si nutre ancora. Di qui l’ossimoro che dà il titolo all’opera.

Autore, attore, drammaturgo, Moscato ci ha abituato da quarant’anni a questa parte ad una ricerca profonda ed appassionata sulla lingua. Il suo testo accosta italiano e vernacolo, latino, francese, inglese in un pastiche multicolore alla cui condivisione egli chiama continuamente il lettore. E’ come se fossimo in un teatro dove si rappresentano le vicende della sua vita ambientate dapprima nel settecentesco palazzo Scampagnato, poi nella casa del Cristallo, nella casa della Loggia ed infine nella casa di Fuorigrotta. Ambientazioni in cui si muovono innumerevoli personaggi della Napoli post-bellica ormai scomparsa e che solo un archeologo può ritrovare sotto le successive, devastanti, stratificazioni. Il ricordo della numerosa famiglia, in particolare della madre, è filtrato attraverso l’ironia della distanza temporale. Ora Enzo può vedere chiaramente, a debita distanza, le azioni, i comportamenti, gli errori dei grandi e giudicarli. Ma senza astio, perché tutto ciò che è stato ha contribuito a renderlo quello che è ora. Passano quindi sotto i nostri occhi i personaggi dei Quartieri, quando ancora erano abitati da gente vera e non si erano ancora trasformati in strade percorse da fameliche orde di turisti.

Talvolta, sugli eventi narrati, sugli episodi che più lo hanno toccato, Moscato ritorna, come un vezzo senile, con le stesse parole. Quasi per sottolineare al lettore che lui ormai è vecchio, svanito, ricorda e non ricorda. Ma queste defaillances, sembra dirci strizzandoci l’occhio, si devono tollerare in un signore anziano con tanta esperienza alle spalle e tanta voglia ancora di fare, nonostante gli anni.

L’autobiografia del sangue si chiude con il capitolo Un arduo, spigoloso argomentare in cui la vicenda della piccola Carmela, sorella della madre, morta di febbre spagnola nel 1918, apre la strada a riflessioni filosofiche sul male, la morte, l’Eterno Ritorno. Un’apertura al presente: inevitabile e voluto il confronto con l’attuale pandemia.

Se le vicende narrate coinvolgono il lettore, specie napoletano, che di quel mondo ha un ricordo personale o un racconto pregresso, a volte faticosa risulta la lettura specie quando si aprono momenti di puro monologo interiore. Moscato ci fa salire in groppa ai suoi pensieri che si dipanano in maniera complessa, volutamente irrazionale, procedendo per libere associazioni di idee, per poi ritornare alla storia. Nel frattempo il lettore si perde e si ritrova, dopo una vorticosa giravolta, ad accarezzare di nuovo i personaggi cui nel frattempo si è affezionato. E’ la sua lingua teatrante. E’ Moscato, bellezza!