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Una leggenda tra le tante torri

by Federico L. I. Federico
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Furono oltre trecentocinquanta le torri vicereali costruite a partire dal Millecinquecento lungo le coste del Regno di Napoli, in un periplo ininterrotto da Gaeta all’Abruzzo. Ma non era mica facile costruirle e sostenerle. Infatti erano frequenti le liti tra le diverse comunità della costa per i criteri di ripartizione delle spese. Ad esempio, tra molte polemiche fu stabilito che le tasse fossero dimezzate alle Comunità residenti oltre le dodici miglia lontano dalla linea di costa. Ovviamente le cittadine costiere non erano d’accordo. Insomma, nulla di nuovo sotto il sole del Sud dai mille campanili.

Durante tutto il secolo comunque la Corte Vicereale Napoletana fu costretta più volte a imporre tasse speciali alle “Università”, cioè le comunità locali nel Regno di Napoli. L’obbiettivo preminente rimaneva la costruzione e la manutenzione delle torri.

Soltanto nel 1601 fu completata l’impresa di dotare le coste meridionali della rete delle torri di avvistamento e di difesa. Le torri infatti erano di due tipi fondamentali.

Quelle destinate all’avvistamento dei pericoli in mare o alla difesa dagli attacchi a terra erano di solito più piccole, Esse erano affidate a pochi uomini che si alternavano alla guardia dell’unico cannone che normalmente costituiva l’armamentario principale. Ma questi tipi di Torri erano ubicate nei luoghi più impervi ed alti, spesso quasi inaccessibili, per consentire la sorveglianza di larghi tratti di costa e mare. Il fuoco di notte e il fumo di giorno erano gli unici mezzi della comunicazione tra le Torri. Ogni Torre infatti “dialogava” con altre due a vista. Esse così si  “passavano ‘a voce”.

Le Torri destinate alla difesa erano invece più alte e poderose, costruite normalmente nei pressi dei centri abitati. Esse venivano affidate a ”Torrieri” e dotate di una guarnigione forte di una decina di addetti tra i quali alcuni “Cavallari”, detti anche anche “Cavallanti”. Erano armate almeno con tre cannoni sui tre lati verso il mare e un di bell’armamentario di pezzi di artiglieria di varia potenza e portata, fino a sei per torre, tra colubrine, falconetti e archibugi. Ai cavallari toccava il compito di darsi a corse sfrenate per avvisare del pericolo imminente dello sbarco nemico le case contadine isolate e gli abitati rurali sparsi nelle campagne circostanti.

Le Torri vicereali realizzate sullla costiera sorrentino-amalfitana furono numerose, circa una cinquantina. E di ogni tipo.

Il golfo di Napoli era l’obiettivo preferito dagli incursori saraceni e corsari sia per la sua posizione nel Mediterraneo che per la ricchezza delle sue cittadine costiere. Le incursioni spesso si risolvevano in rapide razzìe dal mare stroncate da tempestive scaramucce sulla terraferma. Ma a volte gli esiti delle incursioni erano fatali. Tra gli episodi più gravi verificatisi sulle coste campane si ricorda la completa distruzione di Camerota, presso l’allora poco conosciuto Capo Palinuro, nel 1552.

Più grave ancora risultò l’attacco di pirati algerini che, a bordo di un centinaio di navigli, durante la notte del 13 Giugno del 1558, misero a ferro e fuoco Massalubrense e Sorrento. Dopo l’oltraggio a queste due perle della costiera sorrentino amalfitana la furia saracena si abbatté anche su tutta la costa vesuviana fino a Torre del Greco, quasi alle porte di Napoli. I corallari Torresi, per la difesa della loro flotta di barche coralline, avevano assunto soldati mercenari che in quella occasione risultarono preziosi, fermando la invasione.

L’avvenimento però ha lasciato nella costiera sorrentina duraturi echi di poesia e di leggenda. Si narra che Massa Lubrense, essendo priva di fortificazioni fu facilmente conquistata. Sorrento invece era munita di forti mura di difesa. Per un caso sfortunato però la Comunità aveva rinunciato appena pochi giorni prima a una guarnigione di circa duecento soltdati, il cui mantenimento risultava troppo oneroso per la comunità. Per di più, un guardiano infedele aprì ai pirati la Porta Marina della Città e guidò gli assalitori al massacro di centinaia di sorrentini. Duemila furono i prigionieri e decine le chiese e i palazzi depredati e distrutti. Alcune preziose campane furono trasportate come bottino di guerra sulla nave ammiraglia dei pirati che salpò per il mare aperto. Ma la nave, arrivata all’altezza di Punta Campanella si “inchiodò” su un banco di sabbia senza avanzare fino a quando quelle campane non furono gettate in mare per alleggerire il carico. Da allora, per la festa di S.Antonino i Sorrentini si recano in pellegrinaggio a Punta della Campanella  per ascoltare i rintocchi di quelle campane tra il cielo e il mare. E c’è chi giura di sentire i rintocchi provenire dal fondo del mare azzurro della Costiera.

Così la Storia diventa Leggenda.