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La narrativa russa della guerra 3: gli accordi di Minsk

by Luigi Gravagnuolo
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Precedenti: https://www.genteeterritorio.it/la-narrativa-russa-della-guerra-1-lucraina-non-e-una-nazione/https://www.genteeterritorio.it/la-narrativa-russa-della-guerra-2-i-confini-non-sono-legittimi/

 

E veniamo al terzo argomento addotto dai Russi a motivazione dell’operazione speciale avviata il 24 febbraio scorso e non ancora conclusa.

Gli Ucraini, guidati da un governo ‘neonazista’, hanno negli anni contravvenuto agli accordi di Minsk del 2014 ed attuato sistematiche angherie, vessazioni ed omicidi nei confronti delle popolazioni russofone del Donbass e del Luhansk, costringendo così la Russia ad intervenire a tutela della popolazione russofona e per la de-nazificazione dell’Ucraina. Secondo questa narrativa, per impedire alla Russia di proteggere i propri connazionali del Donbass, alla vigilia del 24 febbraio 2022 gli Ucraini erano in procinto di aderire alla NATO. La Federazione Russa è stata perciò costretta a mettere in essere la sua operazione militare speciale prima che ciò si avverasse.

Come al solito – ci torneremo quando trarremo le conclusioni di questo viaggio nelle ragioni degli invasori – la propaganda russa si poggia su verità parziali frammiste a falsificazioni.

Partiamo quindi dagli accordi di Minsk, che tuttavia non sono comprensibili se non si tiene presente la vicenda dell’Euromaidan. Fin dal ‘91, anno della proclamazione della Repubblica Ucraina, nel suo seno si aprì un confronto duro, che molte volte sfociò in scontro aperto, tra componente ucraina propriamente detta e componente russa, minoranza di notevole consistenza, non solo numerica ma anche culturale nel Paese, con un particolare radicamento nell’Est dell’Ucraina, cioè nelle terre di confine con la Federazione Russa. In estrema semplificazione: la componente ucraina spingeva per una rapida integrazione della Repubblica nel contesto euro-occidentale, mentre la componente russa era contraria a questo obiettivo, puntando piuttosto alla ricostruzione degli storici rapporti con la madre patria russa.

Per un quarto di secolo, attraverso libere elezioni – libere, ma contrassegnate da brogli e violenze come accade sempre nelle democrazie ancora in fasce – si succedettero in Parlamento e quindi al Governo maggioranze russofile e maggioranze eurofile. È appena il caso di sottolineare come le regioni occidentali dell’Ucraina abbiano sempre votato in maggioranza per candidati filoeuropei, al contrario di quelle orientali, per nulla entusiaste di questa prospettiva.

Vediamoli in successione i capi di governo della Repubblica dal ‘91 al ‘14: Leonid Kravčuk, moderato; Leonid Kučma, filo occidentale; Viktor Juščenko, filo occidentale; Viktor Janukovyč, filo russo; dopo un breve interim di Oleksandr Turčynov, filo occidentale ed aperto all’estrema destra, fu il turno di Petro Oleksijovyč Porošenko, filo occidentale, che firmò un accordo per l’associazione alla UE assieme ai suoi colleghi moldavo e georgiano; quindi Volodymyr Zelens’kyj, tuttora in carica. Al di là delle profonde divergenze, tutti questi governi hanno avuto come minimo comun denominatore la corruzione e lo strapotere di una ristretta oligarchia, infiltrata dalle mafie. Esattamente com’è nella vicina Federazione russa.

L’anno cruciale fu il 2014. A fine 2013 il presidente filorusso Janukovyč decise di sospendere il processo di associazione dell’Ucraina alla Unione Europea, avviato nel 2012 sotto la sua stessa presidenza. L’UE aveva chiarito che non lo avrebbe ratificato se l’Ucraina non avesse instaurato una vera democrazia fondata sullo stato di diritto. La UE chiedeva inoltre la liberazione dal carcere di Julija Tymošenko (la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva definito “arbitraria” la sua incarcerazione) e di Jurij Luzenko (la stessa Corte aveva denunciato la violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo nel processo a suo carico). Entrambi erano stati arrestati sotto il governo Janukovyč con gravi accuse di corruzione e frodi ai danni dello Stato.

Nel ‘13 il processo di associazione dell’Ucraina alla UE era arrivato ad un passo decisivo e l’Ucraina si accingeva a firmare l’accordo, quindi a implementare le riforme democratiche richieste dall’Europa. Lo stesso Janukovyč, per facilitare il prosieguo delle trattative con l’UE, aveva graziato Luzenko. La speranza delle popolazioni filoccidentali del Paese era al culmine, ma nel novembre di quell’anno Janukovyč, con un voltafaccia repentino, si rifiutò di ratificare l’accordo. Il colpo di mano di Janukovyč scatenò proteste sfociate nel febbraio del 2014 in una vera e propria rivoluzione che portò alla defenestrazione di Janukovyč. Fu l’Euromaidan. Nelle piazze di Kyev, di Odessa e di altre città ci furono scontri violenti. Janukovyč mobilitò l’esercito per stroncare la rivolta, ma non gli fu bastevole. A dargli manforte, Putin inviò aiuti e picchiatori, mentre il Parlamento varava delle leggi antisommossa che limitavano la libertà di parola e riunione. Leggi sulla dittatura le definirono gli attivisti di Euromaidan. È singolare come oggi la propaganda russa, ad avvalorare la tesi del carattere neonazista dell’Ucraina, indichi in queste leggi liberticide la prova evidente. Ma se furono varate dal governo filorusso!

Fatto sta che Janukovyč alla fine fuggì e gli subentrò alla Presidenza nel 2015 Porošenko, non proprio uno stinco di santo, ancorché filoccidentale. Costui il 5 maggio 2015 promulgò delle Leggi sui monumenti commemorativi per la rimozione di tutti i monumenti comunisti entro sei mesi, nonché l’obbligo di rinominare qualsiasi strada o spazio pubblico con un riferimento al comunismo e di punire la promozione delle idee comuniste.

Le leggi, tuttora in vigore in Ucraina, anzi radicalizzate a causa della guerra, non facevano distinzione tra il regime nazista e quello sovietico e riconoscevano come “eroi della patria” alla memoria l’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini (OUN), quella di cui era stato leader negli anni ‘40 il nazista Stepan Bandera, e l’Esercito Insurrezionale Ucraino (UPA). Entrambe le organizzazioni avevano partecipato allo sterminio degli ebrei in Ucraina.

Insomma, dire che il governo ucraino sia stato come minimo compiacente con le organizzazioni neonaziste non è una bugia; sarà un problema da affrontare e risolvere con determinazione quando e se l’Ucraina dovesse essere accolta nel contesto dell’UE. Ma non bastano duemila uomini del Battaglione Azov, di ideologia nazista ed organizzati militarmente, su una popolazione di quaranta milioni di persone che hanno eletto a loro presidente un ebreo, figlio di combattenti antinazisti e parente di deportati nei campi di sterminio di Hitler, a fare di quel Paese uno Stato nazista. Peraltro i partiti di estrema destra, uniti in un blocco solo, alle ultime elezioni vinte da Zelens’kyj hanno preso il 2% dei voti! Se pensiamo a quanti ne prendono le formazioni di estrema destra in USA, Francia, Germania, Austria e tante altre, si tratta di un risultato ridicolo. Dovremmo dire che tutto l’Occidente è nazista!

Dunque, Janukovyč, nonostante l’appoggio di Putin, fu costretto alla fuga. Contestualmente le regioni russucraine del Sud Est si ribellarono al governo di Kyev. E così cominciò la guerra civile, caratterizzata, come tutte le guerre civili, da atrocità inenarrabili dall’una e dall’altra parte. A difesa dei russucraini intervenne con le armi la Federazione Russa, che colse l’occasione per occupare ed annettere la Crimea e due regioni dell’Est ucraino ai suoi confini. Ma i combattimenti continuarono.

Fu a questo punto che intervenne l’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), di cui faceva allora parte anche la Russia con un ruolo di assoluto rilievo. Sotto l’egida dell’OSCE si tennero a Minsk, capitale della Bielorussia, due trattative culminate negli accordi di Minsk 1 e Minsk 2.

Lo spazio non mi consente di dilungarmi oltre. La ratio generale di quegli accordi era grosso modo sulla falsariga di quelli tra Italia ed Austria a proposito del Sud Tirolo-Alto Adige. Prevedevano ad esempio il bilinguismo ed una serie di garanzie patrimoniali, commerciali e democratiche per entrambe le nazionalità di quelle regioni, oltre alla liberazione dei prigionieri dell’una e dell’altra parte. Questi accordi furono disattesi da entrambe le parti. È ragionevole stimare che lo furono in particolare dagli Ucraini, che anzi perseguirono una politica russofoba volta a ucrainizzare quelle regioni. Può essere, ma sta di fatto che l’OSCE, che si era fatta garante di quegli accordi, ne ha denunciato più volte le violazioni dei Russi, tanto che, dopo il 24 febbraio scorso, l’ha espulsa dal suo seno la Federazione Russa. Qualche valutazione di merito l’avranno pur fatta, o no?

Per parte sua, denunciando le violazioni degli accordi da parte degli Ucraini, la Russia ha più volte minacciato di intervenire militarmente a difesa dei suoi connazionali, mentre l’Ucraina, nel respingere queste intimidazioni e per meglio tutelarsi dalla minaccia di un’aggressione armata da parte della Russia, ha intensificato i rapporti non solo con l’UE, ma anche con la NATO. A dicembre dello scorso anno circolò la voce – credo veritiera – che la NATO stesse per accettare l’adesione all’Alleanza dell’Ucraina.

Di conseguenza Putin da gennaio ha alzato i toni e schierato le truppe ai confini con l’Ucraina, minacciando una guerra risolutiva se l’Ucraina avesse abbandonato la sua neutralità ed avesse aderito alla NATO. A fronte di ciò, onde scongiurare la tragedia, tutti i leader occidentali hanno fornito ampie rassicurazioni alla Russia che non avrebbero accettato l’Ucraina nella NATO. Lo stesso Zelens’kyj aggiungeva lo scorso 28 marzo, a un mese dall’invasione, che avrebbe garantito la neutralità del suo Paese: “L’Ucraina è pronta ad accettare uno status di neutralità e non nucleare come parte di un accordo di pace con la Russia”.

Non c’è stato niente da fare ed oggi le truppe russe continuano a massacrare militari e civili in Ucraina.

Decidete voi se la minaccia dell’adesione dell’Ucraina alla UE ed alla NATO sia stato il vero motivo dell’invasione, oppure se non sia stato un pretesto per Putin per portare avanti il suo disegno imperialista di ricostituzione dell’egemonia della Russia sull’Est Europa, impedendo ad uno Stato sovrano, ex suddito dei Russi, di scegliere in libertà la propria collocazione nel mondo.