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Napoli vista da San Severino e Sossio

by Flavio Cioffi
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Consigli di lettura 12/2023

 

Il convento napoletano dei SS. Severino e Sossio” (Editoriale Scientifica, 1978), di Maria Raffaela Pessolano, che fu docente di Storia dell’architettura all’Università Federico II di Napoli, è un saggio la cui analisi si concentra sui fattori economici, sociali e politici che determinano l’evoluzione del tessuto urbano. Le fonti d’archivio, in questo caso l’Archivio di Stato di Napoli, come punto di partenza di una lettura critica dell’ambiente urbano.

L’incremento di popolazione provocato dalla politica vicereale e dalle condizioni economiche generali comportò, in una città in cui tutto ristagnava, la speculazione sulle abitazioni e prima ancora sui suoli”. Sembra attualità e invece siamo nel sedicesimo secolo.

La spinta immigratoria aveva accentuato la naturale tendenza alla espansione fuori dalla cinta muraria lungo le strade di accesso alle porte della murazione, il fenomeno dell’occupazione degli spazi liberi all’interno e quello della sopraelevazione dei fabbricati e quindi della progressiva crescita della città in altezza (…) Nelle condizioni di stasi economica e di insufficienti attività produttive, la speculazione edilizia rappresentò l’aspetto imprenditoriale più immediatamente remunerativo ed il convento di S. Severino approfittò di questa possibilità…” Il rapporto fra struttura e sovrastruttura viene qui ben descritto. E’ sempre la prima che determina la seconda.

La trattazione parte dal 492 e arriva al Novecento, ma i passi citati mi sono sembrati in un certo senso illuminanti. In un territorio nel quale nessuno investe ma tutti speculano (vedi Bagnoli) la linea è sempre la stessa, a quanto pare. E la “gente” cosa fa? “Ad un numero grandissimo di titolati… si contrapponeva la plebe pronta per disperazione a lanciarsi in ogni avventura: Più indiscreta e indisciplinata di questa (scrive il Capaccio ai primi del Seicento) non ha tutto il mondo insieme… vil gente mendica e mercenaria, atta a disfare ogni buona costituzione di ottima repubblica…”

Solo che in questa plebe andrebbe ricompresa la gran parte dei titolati. Funziona così quando si chiudono le fabbriche e si aprono le pizzerie.

 

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